L’approccio educativo che vorrei esporre in questo articolo, riguarda l’esperienza di Outdoor Education, paradigma educativo e didattico inteso a promuovere esperienze di educazione in natura, di sviluppo della consapevolezza ambientale, di conoscenza scientifica e di valorizzazione dell’esperienza corporea nei processi di apprendimento, che ho sperimentato durante questi ultimi anni a scuola insieme ai bambini.
Se lo sviluppo tecnologico ha apportato molti vantaggi per l’uomo, nel corso della sua evoluzione culturale, ha altresì, originato situazioni negative per via dell’utilizzo indiscriminato delle risorse naturali. L’impatto sugli ecosistemi è rilevante a tal punto da creare conseguenze di ampia portata come le deforestazioni, l’esaurimento delle fonti di acqua potabile, l’inquinamento atmosferico, il buco dell’ozono, il deterioramento del suolo, ecc. Le ricadute hanno inciso anche sull’uomo stesso a livello di salute, di risorse economiche e di qualità della vita. Il benessere umano è strettamente interconnesso alla biodiversità. Lo sfruttamento intensivo delle risorse ambientali e il dominio della logica di mercato sono temi sui quali è necessario ed urgente interrogarsi con pensiero critico, per comprendere ciò che si sta facendo all’ambiente e per mettere in atto azioni adeguate.
La relazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) sullo “Stato dell’Ambiente 2020”, evidenzia l’urgenza di intervenire nei prossimi dieci anni per cambiare direzione verso un futuro sostenibile, adottando nuove tecnologie, potenziare misure per proteggere il Pianeta e si dichiara che dal 2015 ad oggi la situazione non è migliorata e non si sono raggiunti gli obiettivi del 2020, ma ci sono delle possibilità per quelli del 2030 e 2050. Anche in Italia, come in Europa, le azioni effettuate per contrastare la perdita di biodiversità non hanno ottenuto risultati soddisfacenti anche se si registrano progressi nel decennio 2010-2020.
La corrente di pensiero che si è formalizzata negli anni settanta e che ha interpretato la crisi ecologica in modo più profondo, individuandone le cause nell’impianto concettuale della cultura occidentale, fu la Deep Ecology. Questo termine venne coniato nel 1973 dal filosofo norvegese Arne Naess. L’ecologia del profondo sostiene che il vero valore della natura è intrinseco e indipendente dalla sua utilità, la causa della crisi ambientale è da ricercare nella filosofia delle politiche ambientali sulla quale si fonda la cultura occidentale, che alimenta una visione antiecologica della vita, ponendo l’uomo al centro del Tutto e riducendo la natura a oggetto di valore economico. Nasce la necessità di un nuovo paradigma che dia una visione orientata ecologicamente alla vita con l’obiettivo di formare una saggezza ecologica, “eco-saggezza”, capace di pensare, sentire ed agire, ecologicamente, attraverso cambiamenti radicali e sistematici della realtà sociale ed economica, attingendo a culture esistite e sopravvissute alla nostra, come gli indiani d’America e tutte quelle culture estranee ai canoni di pensiero occidentale, ricche di tradizioni di saggezza ecologica.
Le persone faticano a trovare la motivazione per mettere in atto comportamenti adeguati anche quando sono informati delle conseguenze. Un esempio lampante è il fumo da sigaretta. Siamo a conoscenza del legame che esiste tra fumo e cancro ai polmoni, ormai da decenni se ne parla, ed è scritto a chiare lettere su pacchetti di sigarette, accompagnati da immagini forti e scioccanti, ma questo non basta per smettere di fumare. Ogni giorno si fumano più di quindici miliardi di sigarette. Conoscere le cattive abitudini non è sufficiente per modificarle, e non sempre l’informazione può bastare. Il rapporto emotivo e affettivo tra uomo e natura è ciò che spinge verso la motivazione a intraprendere comportamenti ecologici profondi, nel rispetto di ogni essere vivente.
Uno studio britannico del 2002 ha mostrato che mediamente i bambini di otto anni d’età identificavano facilmente i personaggi delle carte di gioco dei Pokemon, ma non conoscevano le specie animali e naturali del loro territorio. Lontra, coleottero e quercia erano nomi meno
conosciuti, rispetto a Pikachu, Metapod e Wigglytuff. Studi giapponesi intenti a tracciare, attraverso l’utilizzo della fotografia, l’ambiente naturale, dove crescevano i giovani giapponesi, hanno concluso il lavoro a causa di scarsità di spazi all’aperto con giochi a disposizione per bambini. Riflettere ed agire per educare allo sviluppo sostenibile e ad una coscienza ecologica, a partire dai Nidi e dalle Scuole d’Infanzia, è importante e rappresenta la sfida per il presente ed il futuro anche del nostro Paese per salvaguardare il Pianeta, per far sì che le nuove generazioni acquisiscano attraverso gesti e azioni quotidiane il rispetto per l’ambiente.
Secondo il filosofo e sociologo francese Edgar Morin, per poter affrontare l’incertezza, l’educazione deve necessariamente rivedere le teorie, le idee e interrogarsi sulle possibilità di conoscere, in modo da rendere la conoscenza indagatrice di sé stessa, del mondo e dell’uomo; per fare ciò, serve una riforma di pensiero che sappia evidenziare una conoscenza pertinente, che si riferisca intorno al contesto, al globale, al multidimensionale e al complesso. Il deficit di natura che Richard Louv descrive in senso metaforico come disturbo che interessa numerosi bambini che vivono in città e agglomerati urbani senza la possibilità di trascorrere del tempo a contatto con la natura può essere associato a deficit dell’attenzione, problemi di sovrappeso, difficoltà a socializzare e disturbi respiratori. Ciò che invece avviene in un ambiente naturale stimola la fascinazione, i benefici psicologici che ne conseguono possono implicare un aumento della capacità di attenzione. In questo senso la teoria dell’attenzione rigenerata è applicabile a tutte le età. La capacità di lasciarsi affascinare dalla Natura è innata ma si può anche educare ed apprendere attraverso la pratica della mindfulness, per migliorare l’attenzione e stimolare la biofilia nei bambini. Queste innovative forme di educazione stanno cercando di innescare processi nuovi di pensiero, per creare una diversa cultura ambientale.
Questa esperienza immersiva mi ha avvicinato all’attitudine biofilica, ecologica e pedagogica necessaria per iniziare insieme ai bambini e al gruppo educativo il percorso di consapevolezza in natura, in contatto con il selvatico dentro e fuori di noi, riscoprendo sensazioni ed emozioni profonde, approfondite anche attraverso la mindfulness (che pratico anche per interesse personale, in quanto seguo la filosofia e lo studio della mente del buddismo tibetano).
Gli spazi interni ed esterni della scuola sono stati ripensati e riprogettati, il dentro e il fuori si sono trasformati in spazi educativi che dialogano tra loro per creare contesti ricchi e favorire processi di ricerca nei bambini e lo sviluppo della creatività. Le ricerche mostrano altresì quanto l’educatore rappresenti una chiave fondamentale del successo dell’Outdoor Education. La qualità dei servizi per l’infanzia è strettamente correlata alla professionalità educativa, che deve saper tradurre in processi quotidiani e sistematici, le dimensioni della qualità anche in merito all’Outdoor Education come pratica e metodologia.
Il piacere che i bambini provano nello stare in natura passa attraverso il corpo, i cinque sensi, nei quali investono le energie per perseguire i propri obiettivi, esplorando la dimensione interiore ed aprendosi al mondo circostante, sviluppando un atteggiamento di empatia verso i pari e gli esseri viventi. In questo modo i bambini, riconoscendosi come parte della natura, s’interessano anche a conservarla, impegnandosi a salvaguardare il valore del patrimonio naturale e sviluppando senso di appartenenza ad esso. L’investimento emotivo in queste pratiche è molto alto sia per i bambini che per noi insegnanti. Non è stato facile, soprattutto in quest’epoca di incertezze, portare i bambini fuori, all’aperto, andando anche incontro alle resistenze che alcune famiglie hanno manifestato, scegliendo di assumerci la responsabilità del rischio, allontanandoci dal modello di insegnanti vigilanti ed ansiose, e motivando le scelte pedagogiche alle famiglie.
Il ruolo dei genitori è importante, le famiglie vanno sensibilizzate attraverso la partecipazione ed il coinvolgimento nelle esperienze di Outdoor Education. I genitori hanno compreso con il tempo che le probabilità di ammalarsi sono più alte stando in contesti chiusi piuttosto che in contesti all’aperto, se i bambini vengono vestiti in maniera adeguata alla stagione e al clima. Le famiglie hanno restituito una percezione positiva circa le esperienze vissute inoltre hanno superato gli ostacoli e i retaggi culturali, contribuendo a far vivere ai loro figli esperienze all’aperto in serenità, hanno risposto manifestando il desiderio di far vivere ai propri figli una scuola sempre più in dialogo con lo spazio esterno, dove possano essere liberi di esprimersi e di crearsi una loro personalità, unica e rispettata nella sua diversità e manifestando un interesse nel continuare questo percorso, e proponendo di estendere l’esperienza anche nelle scuole primarie e secondarie per introdurlo come parte costante di una routine quotidiana. Dalle parole e dalle esperienze dei loro figli hanno imparato loro stessi a rispettare tutti gli esseri viventi ed hanno compreso che l’educazione all’aperto non è una moda del momento per affrontare l’emergenza sanitaria ma una necessità educativa.
L’esperienza di Outdoor Education presentata in questo articolo ha permesso ai bambini, ai genitori ed alle insegnanti di vivere esperienze significative, intrecciando relazioni ed entrando in contatto con i vissuti degli adulti, con le percezioni dei bambini e con le resistenze e i timori che si possono incontrare durante un percorso di educazione all’aperto, che possono essere superati grazie alla potenza dell’esperienza in natura e al costante confronto tra i soggetti che vivono una comunità educante.
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